Pino Scotto: un rocker “duro e puro” alla mèta!
di Fausto Pirìto - giovedì 16 luglio 2015 ore 15:06
La settimana scorsa è stato lo “special guest”, insieme con i Punkreas, della prima edizione del Festival Rock@Home che si è svolto a Pisa, al Parco “La Cittadella”. Ma un paio di volte l'anno torna nel nostro capoluogo per esibirsi con il suo gruppo al Borderline, uno dei music pub più vivaci della provincia. Sto parlando di Pino Scotto, l'ex leader dei Vanadium, hardrock band di culto negli Anni '80.
Pino, originario di Monte di Procida, oggi ha 65 anni. Per quattro decenni ha fatto l'operaio a Milano, ma non ha mai saltato un giorno in quanto alla musica. Sveglia alle 7. Dalle 8 alle 17 in fabbrica. Una bella dormita fino alle 22 e poi via, a cantare in locali quasi sempre underground fino a notte fonda. Dopo lo scioglimento dei suoi Vanadium, lui ha continuato da solista costruendo intorno a sé un seguito di fedelissimi che non lo ha mai abbandonato. In più, è diventato un “opinion leader” per l'emittente Rock Tv (Sky) dove puntualmente presenta la trasmissione “Database” con un linguaggio non proprio edulcorato ma certamente molto, molto efficace.
Da qualche anno Pino è in pensione e sembra proprio aver intrapreso la via di una splendida terza giovinezza. Su Facebook ha oltre 80mila contatti e quasi 10mila sono i suoi followers su Twitter. Non avendo più l'impegno della fabbrica, oggi si dà al 100% alla musica e porta i suoi concerti, che dall'heavy dei primi anni hanno decisamente virato verso l'hard rock & blues, un po' in tutta Italia, con puntate in Nord Europa e persino in Giappone, dove è diventato un'icona vera e propria.
Per farvelo conoscere meglio, qui di seguito vi riporto i passi di un testo che ho scritto per il libro “Vanadium - La biografia ufficiale” di Luca Fassina (Crac Edizioni).
«Ho avuto la fortuna di conoscere Pino Scotto e i suoi Vanadium nel momento subito antecedente al loro massimo splendore. Era il 1983 e io da un paio d'anni lavoravo come capo-servizio a “Tutto Musica & Spettacolo”, il mensile di “Tv Sorrisi e Canzoni”. “Tutto”, dalla fine degli Anni '70, è stato per oltre un ventennio una rivista molto popolare (per i detrattori, nazional-popolare...) e seguitissima dai teenager dell'epoca, arrivando a una tiratura di quasi 400mila copie con più di 2 milioni di lettori. All'inizio, difficilmente tra le sue pagine trovavano ospitalità personaggi o gruppi off-limits. Eppure, con pazienza e tanto lavoro, ero riuscito a conquistare la fiducia del direttore, Gherardo Gentili, che mi permetteva di gestirne i contenuti con una certa libertà. Nel 1983, appunto, l'ufficio stampa della Durium mi fece avere una copia dell'Lp “A Race with the Devil”. Non avevo mai ascoltato i Vanadium fino ad allora, ma quel disco mi colpì: in copertina, il nome scritto a caratteri cubitali in puro stile “metallo pesante”, una enorme chiave inglese (che la diceva lunga sulla origine “operaia” della band) e, sotto, i cinque musicisti, tutti rigorosamente vestiti con il classico “chiodo”, il giubbotto nero da motociclista. La loro musica, ruvida e ribelle, e la voce “gridata” di Pino Scotto mi incuriosirono e mi spinsero a volerli incontrare. Io non sono un cultore di heavy metal, anche se il rock duro alla Led Zeppelin o Deep Purple mi intriga. D'altronde, non mi sono mai considerato un critico musicale bensì un cronista di musica e dintorni. Dunque, mi sembrò quasi un dovere documentare la realtà espressa dai Vanadium e il loro background. Chiesi e ottenni un appuntamento. L'incontro avvenne in una sala prove fuori Milano dove venni accompagnato dal loro manager. Pino Scotto, Lio Mascheroni e gli altri si dimostrarono subito aperti con me, anche se nei loro sguardi leggevo non tanto diffidenza quanto stupore. Sembravano dire: ma che ci fa qui con noi questo giornalista da rivista “patinata”? E li capivo: non potevano sapere quali fossero le mie radici culturali, ma riuscii a farmi accettare con la formula che ho sempre usato nel fare il mio mestiere: essere me stesso, parlare senza peli sulla lingua, fare domande non precostituite lasciandomi andare a un dialogo schietto, “a braccio”. Bastarono poche ore per chiarirci le idee reciprocamente. Ma penso che un episodio aprì definitivamente le strade alla nostra amicizia, che ancora oggi continua. Pino e Lio mi invitarono a tornare in città con la loro auto, una Volkswagen nera già vecchiotta e ansimante. A un certo punto, il maggiolone cominciò a sbuffare, a sobbalzare, fino a fermarsi del tutto lungo la strada. Niente da fare, non c'era verso di farlo ripartire. Così, tra una bestemmia e l'altra del buon Pino, che comunque era rimasto placidamente al volante, io e Lio scendemmo e cominciammo a spingere l'automobile come dannati, ridendo fino alle lacrime per le imprecazioni sempre più colorite di Scotto. Finalmente il maggiolone ripartì, ma le risate continuarono fino a casa. In tutto questo, bisogna dirlo, ci aiutò molto la grande quantità di birra e Jack Daniel's ingurgitata nel pomeriggio.
Dopo il nostro primo incontro, che fu oggetto di un breve articolo per “Tutto Musica”, la frequentazione tra noi divenne assidua: praticamente, mi ritrovavo con i Vanadium tutte le volte che facevano prove in sala. Serate che poi diventavano nottate, che si chiudevano solo alle prime luci dell'alba... Ormai, non si trattava più esclusivamente di lavoro, era nata una vera amicizia fatta di interessi comuni, di voglia di stupire e di stupirsi, di godimento genuino attraverso la musica e la vita “on the road”. E a stupirsi non erano tanto i lettori della mia rivista quanto i fan dei Vanadium, che non capivano come i loro idoli fossero finiti su un magazine “ufficiale”. Non pochi di loro gridarono allo scandalo, al tradimento, soprattutto quando, nell'84, uscì un mio servizio di ben due pagine (cosa quasi incredibile e impensabile per “Tutto”) sull'album “Game Over” che io puntualmente avevo seguito nel suo divenire, fino a ritrovarmi citato tra i primi “special thanks” nei crediti di copertina.
A essere sincero, devo dire che il rapporto privilegiato che avevo instaurato con Pino e Lio non corrispondeva esattamente a quello che avevo stabilito con Tessarin, Prantera e Zanolini. Con questi ultimi condividevo sì le ore in sala prove e il profumo del backstage ai concerti, con grande rispetto e simpatia reciproci. Ma la vera “chimica” esplodeva sempre e solo con Pino e Lio: noi eravamo, e forse siamo ancora, fatti della stessa pasta, tutti e tre abbiamo sempre avuto voglia di andare oltre. Da metà Anni '80 a fine Anni '90 abbiamo continuato a frequentarci nonostante le alterne vicende della band. Con Pino, nel tempo, si creò anche un rapporto di lavoro giornalistico, perché riuscii a fargli avere una rubrica fissa su “Tutto Musica” che intitolammo “Metal Virus”: uno spazio in cui lui era libero di esprimere i suoi pensieri sul mondo dell'hard rock italiano e internazionale, con recensioni (molto apprezzate) dei dischi in uscita, scritte con un linguaggio “alla Scotto” che fu comunque capito e accettato anche dai lettori più “puritani”. Una bella esperienza, che gli aprì le porte per diventare giornalista a tutti gli effetti, con tanto di iscrizione all'Albo (senza dimenticare che contemporaneamente e successivamente Pino scriveva e ha continuato a scrivere anche per altre testate specializzate nel suo genere e a lavorare in radio e tv).
I Vanadium di Pino Scotto si sciolsero nel 1990, ma certamente sono stati la più importante band di heavy-hard rock & blues italiana degli Anni '80, l'unica a varcare i nostri confini e a misurarsi con i “mostri sacri” internazionali! A parte i risultati economici, avevano un seguito di “aficionados” invidiabile, uno “zoccolo duro” di fan degno di artisti ben più famosi ma non certo più dotati. Insomma, i Vanadium rappresentano un pezzo di storia della nostra musica. Penso che il loro scioglimento fosse però inevitabile dopo quasi un decennio di attività. Il mercato discografico italiano, fatta salva qualche sporadica parentesi, non è mai stato benevolo nei loro confronti. E i pregiudizi dominanti nei mass media, uniti alle naturali differenze caratteriali tra i vari componenti della band, hanno fatto il resto.
Non credo che avrebbe senso una “reunion” della band. Conoscendo bene Pino Scotto, so per sicuro che la nostalgia non fa parte del suo bagaglio culturale ed emotivo. E senza di lui, i Vanadium non esistono. Penso inoltre che a soffrire più di tutti per questa mancanza di prospettive reali per una “riunione” sia Lio Mascheroni, un uomo molto più sensibile e “fragile” (nel senso più buono del termine) di quanto lui stesso voglia far credere. Da parte mia, una flebile speranza voglio continuare a mantenerla, magari anche per un solo concerto. E statene certi, io sarò lì ad applaudirli, a farmi una sana bevuta con loro, magari a piangere per la commozione quando Pino, dedicandomela come ha sempre fatto, intonerà ancora una volta la struggente “Still Got the Blues” di Gary Moore.
Ho seguito Pino fino al 2010, anno in cui ho lasciato Milano. E in questi ultimi tempi ho molto apprezzato, oltre alla sua musica da solista, l'impegno profuso incampagne umanitarie come quelle sostenute dalla Associazione “Rainbow Project” creata da lui e da Caterina Vetro per aiutare i bambini delle comunità indigene in Cambogia e Guatemala. Con Pino, di tanto in tanto ci sentiamo e io lo vivo ancora come vero amico fraterno, uno che ha condiviso con me una parte importante della mia vita».
Buona musica a tutti!
Fausto Pirìto
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