Freschi, anzi freschissimi di stampa…
di Pierantonio Pardi - giovedì 07 marzo 2024 ore 09:00
E’ ormai più di un anno che, nel mio blog, racconto e recensisco i libri degli scrittori toscani e adesso è venuto il momento di presentare anche il mio ultimo nato “Erotiche alchimie – Sei piccole storie crudeli” (ETS,2024). Sei racconti con finali a sorpresa, tutti rigorosamente macabri, ma anche un po’ tragicomici dove il connubio amore/morte è il tema dominante.
Quindi, il preannunciato “Un imperdibile trittico” (Bigongiali, Pisani, Sartori), slitta al prossimo numero.
Insieme al mio libro presento un’ altra novità: il nuovo romanzo di due giovani, talentuose e diaboliche autrici di Piombino, Martina Cecchini e Susanna Chelotti. Nel 2009, avevano pubblicato su “Incipit”, la collana di narrativa diretta da me e Daniele Luti, “Le facce buffe dell’amore”, un romanzo giovanile che aveva come cornice il mondo universitario senese; adesso, invece, escono con una storia distopica, ambientata in un futuro non troppo lontano dal titolo : “Ventunotrentuno. I figli dell’alba”. E’ un romanzo terribile, diabolico appunto, che non ha niente da invidiare ai deliri di Amélie Nothomb, dove alcuni giovani cercheranno di sfuggire con ogni mezzo ad un futuro crudele e ad una società totalitaria e repressiva … e mi fermo qui per non rivelare (altri avrebbero detto, spoilerare, ma io odio questo termine) troppo.
:
Pierantonio Pardi
Erotiche alchimie
Inizio , come di consueto, dalla mia brevissima presentazione
Due righe per sciogliere il ghiaccio
e bagnare la pagina
Un destino ineluttabile grava sulla seduzione.
Stregonesca o amorosa che fosse, per la religione
rappresentò sempre la strategia del demonio.
Jean Baudrillard, Della seduzione
Ho citato in epigrafe la frase di Jean Baudrillard, perché in effetti le piccole storie crudeli che racconto in questo libro contengono in sé qualcosa di demoniaco.
Come se il graffio del diavolo avesse, a un certo punto, con la
complicità di un alleato potente e imprevedibile come il Caso, giocato una beffa atroce ai protagonisti di queste storie.
Non aggiungerò altro sui contenuti per non sciupare l’effetto
sorpresa dei finali, sempre e volutamente tragici, anche se con una sfumatura perversa di comicità.
Questi racconti giacevano da tempo immemorabile in una veste tipografica casereccia e simpaticamente autarchica in un ripiano della mia libreria, dimenticati, finché un giorno, forse di pioggia, perché le epifanie si verificano sempre nei giorni di pioggia, mi ci è caduto l’occhio, ovviamente in senso metaforico, altrimenti ora sarei orbo.
Quindi li ho riletti e li ho trovati estremamente attuali e così,
dopo un breve intervento di restauro, ho deciso che era venuto il momento di pubblicarli e sottoporli a voi lettori che, ne sono sicuro, ne sentivate, a livello inconscio, la mancanza.
Effettivamente la seduzione in queste storie gioca un ruolo importante e vede come protagonisti alcuni stereotipi del genere maschile: un play boy, un prof. con la sindrome di Lolita, un triplogiochista che si muove come un equilibrista in bilico tra tre diverse tipologie sentimentali … poi ho voluto raccontare anche due patologie inerenti alla sfera del sesso: un voyeur (volgarmente un guardone) e un erotomane un po’, anzi parecchio fuori di testa e infine un finale direi, quasi mistico – metafisico, dove entra in scena addirittura San Pietro.
La figura del seduttore seriale, protagonista del primo racconto, ha grandi precedenti in letteratura; forse il più famoso è il Giacomo Casanova delle “Memoires”, preceduto dal “Don Giovanni” di Molière, poi il Visconte di Valmont ne “Le relazioni pericolose” (1782) di Choderlos De Laclos, “Bel ami” (1885) di Guy De Maupassant e in Italia l’ Andrea Sperelli de “Il Piacere” (1889) di Gabriele D’Annunzio e il Paolo Castorini di “Paolo il caldo” (1954) di Vitaliano Brancati. Nell’arte pittorica il seduttore è stato raffigurato da Jan Vermeer nel quadro “Gentiluomo e dama che beve” e in musica dal “Don Giovanni” di Mozart che riprende l’opera di Tirso Da Molina. Infine il cinema che ha immortalato la figura di Rodolfo Valentino, uno dei primi sex symbol, in film come “Sangue e Arena” (1922) e in Francia il Bernard Morane ne “L’uomo che amava le donne” (1977) di Truffaut.
E, per concludere, il “Don Giovanni” descritto da Soren Kierkegaard nella sua opera, Diario del Seduttore; quello descritto da Kierkegaard è un personaggio complesso, un seduttore intellettuale dotato di sensibilità non comune, che vive di calcoli raffinati e decadenti, mettendo in atto piani strategici e tattici giacché in essi, e non nel semplice piacere del possesso, egli trova soddisfazione e appagamento.
Esemplare, per capirne la psyche, questa lettera (l’opera è infatti in parte un diario, in parte in forma epistolare):
"Così s'incomincia. Prima viene neutralizzata la sua femminilità mediante prosaica intelligenza e ironia, non direttamente ma indirettamente e per mezzo del neutrale assoluto: lo spirito. Ella quasi perde innanzi a se stessa la propria femminilità, ma in tale condizione non può rimanere sola e finisce col cadermi tra le braccia, non come se fosse amante, no, ma diremo neutrale: quindi la sua femminilità si risveglia e viene spinta fino al massimo della tensione; la sua femminilità raggiungerà altezze sovrumane ed ella mi apparterrà con una passione universale".
Ho volutamente citato questo testo, perché Giorgio, il seduttore che racconto in “Play boy” ragiona più o meno alla stessa maniera.
A quarant’anni, con una laurea in legge mai sfruttata, anche se debitamente incorniciata ed esibita, alto, moro con due occhi di un verde muschio intenso, Giorgio godeva di una consolidata fama di implacabile play boy, anche se lui amava definirsi l’ultimo dei seduttori.
Il suo sistema d’abbordaggio, il balzello come lo definiva lui, era ormai un noto ed invidiato rituale. Una volta individuata la preda, seduta al tavolino del bar, ordinava al cameriere di recapitarle un flut di champagne e quando lei, stupita, chiedeva ragguagli, il cameriere le indicava col dito Giorgio che, seduto a tre tavolini di distanza, abbozzava un elegante inchino seguito da un sorriso ammiccante. La donna, piacevolmente perplessa, tradiva un attimo d’imbarazzo e lui non le dava il tempo di riprendersi. Con fare elegante, ma deciso le si avvicinava, le si sedeva accanto ed iniziava a mitragliarla con un pirotecnico mosaico lessicale cui era difficile sottrarsi.
Eppure, questa formidabile macchina da guerra subirà un clamoroso flop, quando incontrerà Charlotte, l’affascinante parigina che manderà in frantumi la sua mascolinità e anche la sua vita…
L’altro personaggio è un emulo di Humbert Humbert, il professore trentasettenne ossessionato da Dolores, dodicenne, con cui intreccia una relazione sessuale, ed è il protagonista di “Lolita”, il romanzo di Nabokov. Lolita è il soprannome che il professore dà alla ragazzina e da quel momento il termine, nell’immaginario collettivo, starà ad indicare una ragazzina sessualmente precoce e attraente che si comporta in modo seduttivo verso uomini maturi.
Ed è quello che succede a Gianni Macchia, maturo e compassato professore di lettere quando, in un giorno di sciopero, incontra per caso Patrizia, una sua studentessa del quinto anno e lei, dopo essersi fatta consigliare un libro da regalare al suo ragazzo, dopo una rapida incursione in libreria, vista l’ora tarda, lo invita a pranzo a casa sua, visto che i suoi genitori sono assenti. Lui, riluttante, accetta, inconsapevole del fatto che sta andando incontro ad una catastrofe.
Allestito in maniera assai artigianale il pranzo, Patrizia apparecchiò sulla veranda e provvide a versare del vino nel calice di Gianni che bevve avidamente, roso dall’arsura e dall’emozione; in ogni suo movimento infatti, Patrizia non faceva altro che evidenziare al massimo le sue forme. O si chinava per raccogliere qualcosa, facendo intravedere il seno, o con qualche movimento brusco, faceva cadere le spalline del top … insomma c’era qualcosa di studiato nel suo comportamento, di volutamente provocatorio. E quando la ragazza, accusando un’ incredibile arsura, si tolse definitivamente il top, restando così a seno scoperto, Gianni non si stupì più di tanto perché l’aveva previsto.
« Mi scusi, professore, ma non ce la facevo più; questo caldo mi manda in paranoia. Ma non faccia complimenti, si tolga la camicia anche lei. »
E, sarebbe il caso di dire, lo sventurato obbedì…
Per quanto riguarda le patologie, invece, ho raccontato la storia di Ovidio, il guardone/ voyeur, spiegando come la genesi di questo suo vizio, lo porterà ad una morte violenta. Ovidio, tredicenne, viene affidato alla zia Olimpia, maga e cartomante, perché sua madre ha deciso di raggiungere il marito emigrato in Svizzera.
Ma il piccolo Ovidio comincia ben presto a nutrire serie perplessità sull’effettivo lavoro della zia.
Ovidio, curioso per indole e per età, aveva inoltre notato che sul tavolino dell'ingresso stazionavano permanentemente, mischiate a varie pubblicazioni dell'occulto, parecchie riviste pornografiche e, nonostante non fosse un iniziato ai misteri della cabala, faticava un po' a trovare un nesso logico tra quelle e le arti chiromantiche della zia; poi, quei signori che entravano sempre con aria furtiva come se fossero perennemente inseguiti, non avevano l'aria emaciata e smarrita di chi va alla ricerca del proprio destino, ma esibivano al contrario la rubiconda floridezza di chi è da sempre in pace con se stesso. E in ogni caso la zia non contribuiva di certo a defatigarli nel morale con le sue previsioni, perché i loro volti, dopo ogni seduta, apparivano quanto mai rilassati e sereni.
E, sempre nel campo delle patologie, ho presentato Geremia e la sua erotomania, scaturita da una pazzia neppure troppo latente; lui ha avuto un’ infanzia disastrosa, ma adesso, con l’aiuto del Nebbia, lo psicologo che lo segue, sembra aver trovato un po’ di pace, ha un’intelligenza prodigiosa ed è un formidabile lettore che tende ad immedesimarsi maniacalmente nei personaggi dei libri, è inoltre dotato di una memoria infallibile. Gli mancava soltanto la scoperta del sesso, ma il Nebbia lo aiuta anche in questo, facendogli conoscere Michela, una peripatetica molto particolare. Ed ecco l’incontro:
La stanza era al terzo piano, buia, maleodorante. C’era uno strano odore di benzina. Lei gli aprì la porta in vestaglia; in capo aveva dei bigodini multicolori e ai piedi due pantofole gialle.
Lo fece accomodare in cucina, dove un rumorosissimo neon illuminava le povere cose disseminate un po’ dovunque.
Il frigo, di un bianco sporco e screpolato, aveva la porta legata con uno spago e, quando lei lo aprì per prendere dell’acqua, Geremia notò che dentro non c’erano che un cartoccio di latte iniziato, croste di formaggio e qualche lattina di birra.
Michela contrattò sul prezzo e gli offrì un bicchiere di vino. Il suo alito era forte, i suoi occhi stanchi e allucinati, come reduci da una grande paura. Lui bevve il vino e la seguì in camera. Sul letto d’ottone era seduta una bambola di pezza, cieca da un occhio. La donna la scaraventò a terra, tirò giù le coperte ,si tolse la vestaglia e le mutandine e si sdraiò supina sul letto, spalancando le gambe e invitandolo a spogliarsi e a fare presto.
Geremia obbedì, colmando finalmente una più che ventennale lacuna. Fu un cortocircuito! Nonostante la scheggia di piacere, aveva capito che quella era la sua strada, l’oasi a lungo concupita e finalmente raggiunta.
Mentre si rivestiva, Geremia iniziò a declamare: “ Coi tuoi piccoli occhi bestiali/ mi guardi e taci e aspetti e poi ti stringi / E mi riguardi e taci. La tua carne / goffa e pesante dorme intorpidita / nei sogni primordiali. Prostituta …”
« Che roba è? » chiese Michela.
« E’ l’inizio di una poesia di Dino Campana, A una troia dagli occhi ferrigni.» rispose lui.
« Ah … e la troia sarei io? Ma io non ho gli occhi ferrigni, i miei occhi sono verdi …»
« Sì, infatti » glissò, sorridendo Geremia.
Mi fermo qui, altrimenti vi rapino le sorprese.
Con queste storie sono tornato ai racconti, che non avevo più ripreso dalla pubblicazione di “Cicli e tricicli” (ETS, 2002). In primavera uscirà per le Edizioni Felici una silloge di racconti editi, ma sparsi un po’ dovunque, che ho riunito sotto il titolo di “Il destino di chiamarsi Lulù”. E andrò quindi a concludere un periodo intenso di pubblicazioni e ristampe. Infatti nel settembre del 2021 è uscito “Il baffo e la bestia” (ETS) dove ho raccontato con toni tragicomici il mio non piacevole incontro con la signora in nero, nell’aprile del 2022, la ristampa del mio secondo romanzo “Bailamme” (Portoseguro) e nel luglio del 2023 la ristampa del mio primo romanzo “Testimone il vino” (Felici editore).
I miei libri sono acquistabili presso: Feltrinelli, Erasmus, Blu Book, La Ghibellina e sui siti online ETS (collana – Obliqui -) Mondadori Store, Amazon …
L’autore
Pierantonio Pardi ha insegnato letteratura italiana all’ITAS Gambacorti – Santoni di Pisa. Ha esordito nella narrativa con Testimone il vino (1975) ristampato dalla Felici edizioni nel 2023, in seguito ha pubblicato Bailamme (1983), ristampato da Portoseguro nel 2022; ha pubblicato come coautore Le vie del meraviglioso (Loescher,1996), Il Filo d’Arianna (ETS,1999) e da autore Cicli e tricicli (ETS, 2002), Graande ...prof (ETS, 2005), Il baffo e la bestia (ETS, 2021), Erotiche alchimie (ETS, 2023)
Ha curato per MDS l’antologia Cento di questi sogni (2016).
Dirige per ETS, insieme a Daniele Luti, dal 2002 la collana di narrativa Incipit.
È autore del testo teatrale Zibaldone esistenziale performance del gruppo Teatro e Cittadinanza Liberi di… a cura di Fabrizio Cassanelli e Letizia Pardi.
E’ titolare dal 9 novembre 2022 del blog “Le pregiate penne” sul network di quotidiani online QUInews
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Martina Cecchini & Susanna Chelotti
Ventunotrentuno – I figli dell’alba
Correva l’anno 2009 ed io e il poeta volterrano Roberto Veracini, fummo invitati dal prof. Alessandro Bertini a tenere un corso di scrittura creativa al liceo “Leon Battista Alberti” di Piombino. Ora, passati un po’ di anni, non mi ricordo più il numero delle lezioni, mentre ricordo benissimo il testo che mi colpì subito, per scelte lessicali e originalità , tra quelli che dovevo selezionare per una futura pubblicazione su Incipit, la collana di narrativa ETS creata da me e Daniele Luti nel 2002. Quel testo era firmato da Martina Cecchini e Susanna Chelotti, due amiche inseparabili, quasi due “Fruttero & Lucentini” al femminile. E infatti nello stesso anno pubblicammo in Incipit il loro romanzo “Le facce buffe dell’amore”, una storia d’amore che ricorda “Le affinità elettive” di Goethe, in una Siena universitaria, cornice silenziosa e complice di intrighi divertenti e tragicomici.
Adesso, a distanza di quindici anni, eccole di nuovo ed eccomi di nuovo a parlare di un loro romanzo, molto diverso dal primo, ma ugualmente ricco di suggestioni, perché la scrittura delle due ragazze, col tempo, ha fatto come i vini buoni, ed è diventata ancora più convincente e ricca, grazie ad un lessico ricercato e ad un ritmo veloce, sorretto da una paratassi che rimanda a certi racconti minimalisti di O’ Henry e Carver, mentre nell’ideazione della trama ci trasporta in una dimensione distopica a metà tra Niccolò Ammaniti e Amelie Nothomb, ma che ricorda per certi esasperati paradossi anche le storie di Michel Houellebecq, anche se, in particolare in questo romanzo ho ritrovato echi di William Golding de “Il Signore delle mosche”. Ma veniamo al romanzo …
Ho pensato, dopo alcune riflessioni che farò sul testo, di intervistare le due autrici , come ho fatto in altre precedenti occasioni.
Questo romanzo è ambientato in un futuro non troppo lontano e si sviluppa tra il 2130 e il 2131, in un arco temporale, quindi di appena due anni, con un epilogo datato 1 gennaio 2132. Quindi un arco temporale neppure troppo accentuato, perché, in fin dei conti, 106 anni non sono poi molti.
La storia è semplice e la riassumo usufruendo di una quarta di copertina ampiamente esaustiva. Dopo una catastrofica pandemia, causata da una pestilenza, che ha stravolto gran parte del genere umano, assistiamo alla realizzazione di un micromondo che vive secondo le regole di O.M.N.I.A. (Organizzazione Mondiale Nuova Idea di Associazione). L’obiettivo di questa fantomatica organizzazione è quello di creare nuovi soggetti lontani dalla tecnologia e dalla bulimia dei social e, per realizzare questo progetto, fin dalla più tenera età, i bambini sono tutti dotati di un chip di controllo, inserito nelle terminazioni nervose, che monitora i loro spostamenti e i loro progressi, e individua le loro predisposizioni nei vari ambiti di cui ogni società si compone.
All’interno di questa struttura sociale, viene imposta una separazione dei due sessi fino al raggiungimento della maggiore età, momento in cui i ragazzi e le ragazze scopriranno il match (il partner ) che l’algoritmo ha assegnato loro, secondo parametri di somiglianza e complementarità indiscutibili e incontrovertibili.
Lorenzo e Regina, protagonisti di questo romanzo, scopriranno in modo fortuito e casuale di amarsi e cercheranno con ogni mezzo una via di fuga da questo mondo claustrofobico e repressivo.
In una società così strutturata non mancano ovviamente gli strumenti repressivi, impersonati dai vigilantes di cui Costantino sarà l’esemplare paradigmatico, oltreché rivale e antagonista di Lorenzo. A decidere tutto sono comunque i Pillars (i pilastri), gli scienziati che valutano i soggetti e orchestrano le varie regie.
Accanto a Lorenzo e Regina, ruota un sistema di altri personaggi, Alyssa (la trasgressiva – ribelle), Giacomo (il genietto che riesce a riprogrammare a vantaggio dei suoi amici i chips; ragazzo timido, introverso, innamorato di Lorenzo), Nicholas (l’ipocondriaco claustrofobico che si riscatterà, sul finale, con un’azione eroica) Cristiana ( timorosa e traditrice).
Questi ragazzi, tutti amici, scoprono per caso, grazie a Lorenzo, l’esistenza di un buco nel terreno e, una volta scesi, un bunker sotterraneo.
A pochi passi da noi c’era la porta di un bunker, lo spazio era angusto. Ci siamo aiutati con le torce per capire come forzarla. Dentro c’erano poche stanze, un piccolo bagno chimico che emanava un odore putrido, ma sembrava ancora funzionante (…) c’erano provviste in scatola con nomi mai sentiti prima, delle riviste, dei libri. (…) La camera da letto ha creato un po’ di scompiglio tra noi, credo ci fossero delle ossa, come quelle che si studiano ad anatomia. Mi ha colpito una foto: un uomo e una donna, le loro bocche si toccano e sono parallele ai loro nasi.
Sono chiaramente i residui di una passata civiltà e infatti in seguito i ragazzi troveranno barattoli di Nutella, bottiglie di Rhum e un libro, guarda caso, che racconta la storia di Giulietta e Romeo, così simile per certi versi a quella di Lorenzo e Regina. Ed è in quel bunker che, lontani dagli occhi dei vigilantes, Lorenzo e Regina scopriranno l’amore; un giorno, dopo aver fatto il bagno in mare, andranno ad asciugarsi nel bunker e lì, nudi, finiranno uno nelle braccia dell’altra:
(…) mentre ci baciavamo ho fatto dei passi indietro, e mi sono ritrovata sdraiata sul materasso della camera da letto. Lui ha portato il suo viso sul mio pube, l’ho sentito sospirare. O forse ero io? Poi mi ha sfilato piano quel che restava dei miei vestiti, ed è tornato su. Ci siamo guardati. I nostri occhi cercavano nell’altro le risposte che ancora non avevamo. Ma le avremmo trovate presto da soli. Noi due. Nel silenzio ovattato, scandito solo dai nostri respiri strozzati, il tempo ha girato al contrario..
Ma dovranno stare molto attenti, perché, se individuati, finiranno come Alyssa, che, una volta scoperta come amante di Livio, il suo prof. di ginnastica, era stata sottoposta a manipolazione cerebrale, una tecnica che annullava del tutto la memoria.
La svolta comunque ci sarà, quando Lorenzo scopre che Regina, in base ad un algoritmo è stata designata come futura compagna di Costantino. Quindi i due decidono di anticipare la fuga che avevano già programmato con gli altri, ma non sarà facile, perché dovranno oltrepassare le barriere neurologiche che circondano tutta la città.
Ce la faranno? Non vi resta che leggere.
Intervista
S: Susanna
M: Martina
D. Dal primo vostro romanzo “Le facce buffe dell’amore”
(ETS,2009) a questo sono passati quindici anni. Anche ne “I figli
dell’alba” c’è una storia d’amore, ma, rispetto al precedente, non a
lieto fine. Cosa vi ha ispirato a scrivere questa storia? Che ruolo ha
avuto la pandemia, quella reale e quella descritta nel romanzo?
S: La storia è stata concepita pochi anni dopo la pubblicazione del
nostro primo romanzo, in tempi non sospetti. Da ciò che mi ricordo
è stato l’ascolto della canzone Runaway (fuggire) delle Yeah yeah
yeahs, che è una sorta di leitmotiv dell’avventura dei nostri
personaggi. Il resto è stato costruito grazie ai nostri voli pindarici di
immaginazione e riprendendo le redini post 2020, portandoci dietro
il pesante bagaglio della pandemia appena trascorsa, abbiamo
perfezionato alcune dinamiche dell’intreccio.
M. Beh, in realtà l’idea per questa storia ci è venuta molto prima
della pandemia del 2020, incredibile ma vero. Forse inquietante,
anche! Avevamo finito di scrivere “Le facce buffe dell’amore” da un
annetto circa e mi ricordo che vidi passare alla televisione un video
musicale. C’erano un ragazzo e una ragazza che venivano arrestati
perché si erano baciati in pubblico. E mi ricordo di aver pensato che
poteva venirci fuori una gran bella storia. Lo dissi a Susy e subito
iniziammo ad ipotizzare un mondo nuovo, in cui ragazzi e ragazze
non potevano avere contatti tra loro di nessun tipo. Una città
costruita di sana pianta sulle macerie di una vecchia società, quella
attuale, andata al collasso a causa di una pandemia mondiale. Non
sapevamo che, qualche anno dopo, saremmo stati investiti
dall’ondata di Covid che ci ha messo davvero in ginocchio. Per noi
è stato l’escamotage per mettere in piedi la nostra storia di amicizia,
libertà, ribellione e sì, anche d’amore. Perché si sa che l’amore è
quello che il lettore un po’ spera di trovare.
D. La narrazione di questa società distopica, crudele e repressiva, è
forse una metafora dei tempi presenti? Ci sono autori di riferimento,
ad es. il William Golding de “Il signore delle mosche?”
S: Hai visto giusto, “Il signore delle mosche” l’ho letto diversi anni fa
e tutt’ora sento addosso il brivido e l’orrore che l’umanità può tirar
fuori in momenti di grande crisi (nell’ipotesi più estrema e più
negativa). Alcuni autori hanno certamente influenzato il mio modo di
pensare a un futuro denso di calamità e senso di oppressione:
Cormac McCarthy e Josh Malerman, per citarne alcuni. Anche
diverse serie tv mi hanno donato il piacere del brivido, un interesse
puramente critico sulle modalità in cui un essere umano subisce o
provoca dolori e ingiustizie, il tutto condito da scenari apocalittici e
visionari.
M. “Il signore delle mosche” è un ottimo paragone, anche lì un
gruppo di ragazzini si ritrova di colpo abbandonato a se stesso e
costretto a riorganizzare una sorta di società provvisoria con i mezzi
che trovano a disposizione. Ma penso anche a tutte quelle storie
dove dei ragazzini si trovano a dover affrontare le loro paure e il
loro futuro, come in una sorta di viaggio di formazione. Sto
pensando a “IT” di Stephen King, anche se ovviamente siamo in un
altro tipo di storia e di genere. Nel caso de “Il signore delle mosche”
i ragazzi si trovano nella condizione di dover dettare le regole della
loro propria società, mentre nel caso di “Ventunotrentuno - I figli
dell’alba” i ragazzi sono costretti a seguire delle leggi imposte da
altri. Come se non ci fosse altra via all’infuori di quelle regole. Per
questo Lorenzo le sente come un cappio al collo. Il paragone con i
nostri tempi credo venga da sé, pensiamo di avere qualche potere
decisionale sulle leggi del nostro paese, ma è soltanto un mero
palliativo. In realtà facciamo solo quello che ci viene detto di fare,
sballottati a destra e a sinistra…
D. Perché avete scelto di scrivere un finale dove i giovani
soccombono al potere e dove viene negata loro la libertà.
S: Detto così sembra un finale davvero negativo, ti dirò che in realtà
doveva finire molto peggio. Il motivo è questo: se è vero che in ogni
romanzo avviene un’evoluzione (dei personaggi, della storia…) è
altrettanto vero che in qualche modo si deve essere fedeli alla
realtà che abbiamo creato; la potenza di O.M.N.I.A. (tanto potente
quanto è misteriosa la sua assenza concreta nel plot) è troppo
grande, troppo per dei ragazzini, per giunta inesperti del mondo e
disinformati. Sarebbe stato poco credibile immaginarsi un successo
al primo colpo, non trovi? È come quando vuoi prepararti a un
esame e pretendere di passarlo a pieni voti leggendo solo il
Bignami. In poche parole: devi studiare se vuoi ottenere un risultato
effettivo e soddisfacente.
Per fortuna tra le due c’è qualcuno che ogni tanto prova
compassione e ama il colore rosa (io), così abbiamo edulcorato
l’epilogo con un finale aperto, in modo tale che ogni lettore possa
visualizzare il proprio personale scenario.
M. Non volevamo un finale rosa e fiori, non ci sembrava in linea
con l’atmosfera del romanzo. Ma abbiamo lasciato una piccola
scappatoia…o sbaglio?
D. Per come è strutturato il romanzo, si potrebbe forse intuire che ci
sarà un seguito. E’ così?
S: anche qui hai intuito qualcosa di molto vero. Questo volume è il
primo di una trilogia, abbiamo già terminato la stesura del secondo
e stiamo imbastendo lo ‘scheletro’ del terzo. Sentivamo che la
storia aveva ancora qualcosa da dirci e da mostrarci, così abbiamo
seguito l’istinto e siamo andate avanti. Il progetto è ciò che ci
riempie di tanta soddisfazione e orgoglio e speriamo di poterlo
concretizzare grazie alla collaborazione con la casa editrice.
M. È esatto. È proprio quello spiraglio finale che lascia in sospeso
tutto quanto, la storia d’amore tra Lorenzo e Regina merita almeno
una seconda opportunità. Vedremo se i ragazzi sapranno coglierla.
In realtà, se proprio dobbiamo dirla tutta, la storia è pensata come
una trilogia. Ne hanno di strada da fare ancora questi due protagonisti!
D. Anche stavolta avete scritto a quattro mani. Come vi
organizzate?
S: premetto che per creare una storia a quattro mani non solo
dobbiamo andare d’accordo, ma dobbiamo viaggiare proprio sulla
stessa lunghezza d’onda, specialmente per un plot abbastanza
complesso come questo. O almeno, entrambe abbiamo avuto
l’ambizione di procedere così. Anche i tempi di attesa (l’una che
scrive, l’altra che aspetta di leggere quanto prodotto e scrivere poi
la sua parte) devono essere snelli e noi mentalmente agili.
La storia la creiamo insieme, costruiamo delle mappe concettuali e
disegnini (io disegno malissimo); quando diamo vita ai personaggi,
cerchiamo prima di tutto il loro nome, e poi assegniamo loro
tre/quattro caratteristiche che li contraddistinguono e che ci
permettono di farli spaziare autonomamente nelle scene che
descriviamo ( come quando crei il tuo personaggio nei
videogame): ciò ci permette di distinguerli gli uni dagli altri
attraverso le parole che dicono, i gesti, le ragioni che li spingono a
compiere determinate azioni; ci dividiamo le parti da scrivere in
base al focus sui due protagonisti. Si ripete lo stesso schema de
“Le facce buffe dell’amore”, con la differenza che adesso, con più
consapevolezza, saremmo perfettamente in grado di usare l’una i
personaggi creati dall’altra in modo interscambiabile.
M. Scrivere a quattro mani, per me e Susy, è come un gioco.
Premetto che serve tanta affinità, quasi una testa unica, per fare un
lavoro del genere e credo di poter affermare che potrei farlo soltanto con lei. Di solito decidiamo a grandi linee come impostare
la storia, buttiamo giù una sorta di Time-Line e ci spartiamo i
capitoli, dopo aver ovviamente deciso chi scrive il personaggio
maschile e chi il personaggio femminile. Poi parte il divertimento. È
diverso dallo scrivere in solitaria: quando lo fai, nella tua testa se un
personaggio agisce in un modo sai esattamente come reagirà
l’altro. In questo caso è tutto un mistero, perché io posso scegliere
di far agire Lorenzo in un modo, ma non so come la potrà prendere
Regina. Ovviamente la storia non potrà scostarsi troppo dalla trama
principale, che abbiamo precedentemente concordato.
Ci fa tornare un po’ bambine e durante la stesura del romanzo è un
po’ come se entrassimo in un’ altra dimensione, in un mondo tutto nostro.
Il libro può essere ordinato in qualsiasi libreria ed è già disponibile, oltre che nel sito della casa editrice, nelle librerie di Livorno, Piombino, Librerie COOP, su Amazon, Il Libraccio, Ibs libri e in tutte le piattaforme online.
Le autrici
Susanna e Martina sono nate a Piombino, hanno studiato a Siena dove hanno conseguito la laurea triennale e magistrale, rispettivamente in Mediazione Linguistica e Lettere Moderne. Entrambe hanno pubblicato con la casa editrice ETS, due racconti nella raccolta “Ultima Spiaggia” (2004) e il loro primo romanzo “Le facce buffe dell’amore” nella collana Incipit (2009). Attualmente Susanna è una mediatrice culturale nelle scuole primarie del suo comune, e svolge anche il lavoro di accoglienza nel parco archeologico di Baratti e Populonia e nel Museo archeologico del territorio di Populonia. E’ sposata e ha due figli. Martina è titolare di un negozio di gioielleria a Piombino. Entrambe continuano a scrivere, inventando nuove storie ogni giorno.
Pierantonio Pardi