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lunedì 17 febbraio 2025

LE PREGIATE PENNE — il Blog di Pierantonio Pardi

Pierantonio Pardi

Pierantonio Pardi ha insegnato letteratura italiana all’ITAS “ Santoni” di Pisa fino alla pensione. Il suo esordio narrativo è stato nel 1975 con il romanzo "Testimone il vino" , ristampato nel 2023 sempre dalla Felici Editore, nel 1983 esce "Bailamme" (ristampato nel 2022 con Porto Seguro editore). Negli anni seguenti ha pubblicato come coautore “Le vie del meraviglioso” (Loescher,1966), “Il filo d’Arianna (ETS, 1999) e da solo “Cicli e tricicli” (ETS 2002), “Graaande …prof (ETS, 2005) e “Il baffo e la bestia” (ETS 2021), "Erotiche alchimie" (ETS,2024) e "La disgrazia di chiamarsi Lulù" (Felici Editore, 2024). Ha curato l’antologia “Cento di questi sogni” (MdS, 2016) ed è direttore editoriale della collana di narrativa “Incipit” (ETS)

​Sei pisano se

di Pierantonio Pardi - lunedì 20 gennaio 2025 ore 08:00

“Sei pisano se” (Felici Editore) di Francesca Turchi è il titolo del libro che vado a presentare in questo numero del mio blog; è “una sorta di mini dizionario Pisano – Italiano da viaggio, utile per comprendere le espressioni più astruse, ma anche per eccellere nelle interazioni con i locali, acquisendo al contempo modi di dire e storielle tipiche dialettali. Il tutto accompagnato da reminiscenze di quartiere, storie d’amore adolescenziali e spaccati minimalisti sagacemente restituiti dalla penna di Alessandro Scarpellini, sempre in compagnia di altri astanti” (dal risvolto di copertina).

Un’ operazione analoga a questa, l’aveva fatta nel 2023 Stefano Renzoni con il suo libro “Detti pisani” (per gente ammodino) (Pacini Editore) , che aveva scritto nella quarta di copertina: “ Questo libretto è un modo per dichiarare l’amore per la propria lingua e come essa sia davvero quella dei luoghi dove si vive, perché nulla ci fa sentire vicini come le parole vernacole che pronunciamo.”

Francesca Turchi, influente e conosciuta blogger italiana (lavora come Digital Social Media Officer a Pisa, dove vive) ha dato vivta a questo divertente e spassoso manualetto che racconta dalla a alla z i termini più coloriti e spassosi del vernacolo pisano; ma quello che rende questo libro “mosso” sono anche altri elementi; in primis le illustrazioni di Arianna Pellegrini che raffigurano in modo icastico e spassoso, contestualizzate in vignette, alcune parole di questo dizionario, poi l’idea di aver associato a questi termini, che sono così diventati detonatori emotivi, ventuno storie e racconti partoriti dalla penna di Alessandro Scarpellini e infine, nella sezione “Pisa per me” i ricordi e le testimonianze di pisantropi o pisesi o pisani (fate voi) noti (Agostino Agostini Venerosi della Seta, Daniele Luti, Davide Guadagni, Dome la muerte, Gabriele Santoni, Giovanni Ranieri Fascetti, Paolo Benvenuti, Paolo Ghezzi, Miriano Vannozzi, Renzo Castelli, Riccardo Silvestri, Sergio Costanzo, Fabiano Corsini).

Da segnalare infine il lavoro di editing svolto da Ferruccio Bertolini, contattato come esperto del dialetto pisano per correggere e in parte ampliare il lavoro di Francesca Turchi.

A me è invece toccata la prefazione di cui riporto qui sotto alcuni frammenti.

Sapore di Pisa

Alcune notti fa, ho fatto un sogno, ma sarebbe più giusto definirlo un incubo. Ero a Pechino e, a gesti, stavo chiedendo a un’anziana signora dove fosse possibile trovare un ristorante italiano perché, anche se stavo sognando, avevo ben chiaro l’intento di non mangiare pipistrelli arrosto, topi fritti o altri gustosi manicaretti .

Questa mia gestualità, esasperata dal fatto che la signora, non capendo una sola parola, mi guardava sorridendo come fossi un ebete, aveva creato intorno a me un capannello di persone e una di queste con l’indice si toccava la fronte più volte, gesto universale per indicare un pazzo.

Insomma tutti hanno iniziato a ridere e a parlottare tra loro ed io stavo per avere una crisi di panico, quando d’un tratto ho visto avvicinarsi un tipo, non cinese, che, rivolgendosi al gruppo ha detto:

“ O cos’è tutto ‘sto casino, che c’avete da ciaccià, cazzabuboli, chetatevi un po’ se no vi prendo a ciaffate.”

Ecco, in quel momento mi sono sentito come Sordello che, nel canto VI del Purgatorio, appena sente parlare Virgilio che dice “ Mantua …”, balzò in piedi verso di lui dicendo: “O Mantoano, io son Sordello de la tua terra! “ e l’un l’altro abbracciava – chiosa Dante.

Io, a differenza del più famoso trovatore italiano, molto più prosaicamente, mi sono rivolto a quel tizio, esordendo così: “ Guà o te càa giri da ‘ste parti?” ricevendo una risposta, ovviamente ironica: “ Un sarai mia pisano per caso?” E, così, dopo aver detto ai cinesi di levassi di ‘ulo, ci siamo stretti la mano e abbiamo anche scoperto di abitare a Pisa nello stesso quartiere (…)

Si impone, a questo punto, una breve, ma necessaria riflessione linguistica: in generale il dialetto toscano non presenta grandi differenze con l’italiano perché per esplicita scelta culturale e politica è stato alla base della nostra lingua, anzitutto per il prestigio che il fiorentino colto aveva raggiunto con le tre corone: Dante, Petrarca e Boccaccio, poi per via della centralità del toscano rispetto sia alle lingue del Nord Italia che al Sud. In pratica, avvicinandosi molto al latino, era più comprensibile sia a un settentrionale che a un meridionale, come nota Tullio De Mauro nel suo libro “Lingua e dialetti”. (…)

Le frasi che il pisano rivolge ai cinesi, consapevole che comunque loro non le capiranno, esprimono un livello decisamente connotativo e quindi empatico, emotivo, allusivo e soggettivo; una sorta di cripto linguaggio che l’altro pisano, quello che si esprimeva a gesti, decodifica immediatamente, rispondendo a tono e in vernacolo, avendo riconosciuto nella parlata dell’altro un’identità linguistica e regionale traducibile, tout court, nella pisanità.

Perché, in quel caso, il vernacolo ha stabilito nell’immediato, come fosse una sorta di linguaggio carbonaro, un’intimità che non si sarebbe verificata se il pisano che si rivolge ai cinesi avesse parlato in italiano usando però un linguaggio in funzione denotativa, referenziale.

Vediamo adesso con tre esempi come si articola questo libro:

alla lettera A , insieme ad appuntìno, aradino,arbatro, arbero, ariborda , troviamo appunto arbagie (idee strane, cose impossibili da ottenere: “Te le faccio passà io l’arbagie”

ed ecco su questa parola “arbagie” un estratto del racconto di Alessandro che narra di un suo utopistico giovanile innamoramento:

(…) Lei arrivò con un abitino bianco e degli orecchini lunghi e birichini che splendevano di verde al sole. Mi guardò e sorrise. “O cosa ci fai te qui, da solo e in silenzio?” mi chiese maliziosa. “Me lo dai un bacio vero?” le chiesi rosso in viso. Lei mi guardò stupita. Per un attimo ci pensò, io sperai. Poi si rivolse a me e mi disse indispettita: “O cosa sono tutte queste arbagie, sei ancora un bambino!” io rimasi là come un baccalà, lei se ne andò di fretta senza darmi retta.

Alla lettera G, insieme a gingillino, giòo, gnamo. gnudassi, gobbo, troviamo gnoccà. (prendere lo gnòcco, innervosirsi, arrabbiarsi) Ed ecco cosa scrive Alessandro nell’incipit del suo racconto dall’omonimo titolo:

Quella volta mi fece gnoccà e non ci vidi più (…) c’era quello che oggi si chiama bullismo … che poi era il potere di qualche grande grebano o ghiozzo che voleva imporre con la forza e la prepotenza la sua mascolinità.

“Un mi fa’ gnoccà” gli dissi io, rosso in viso.

Per scoprire come andrà a finire, dovrete leggere il racconto.

Alla lettera N, Francesca, insieme a nenia, nerchia, niccheri, nottolone, mette nocchini (colpo dato con la nocca del dito medio mentre le altre dita della mano sono chiuse a pugno)

Ed ecco un frammento del racconto di Alessandro, ispirato da questa parola:

(…) mamma Lara disse allora a mio padre: “Ma tu. Enio, non fai niente a questo bischero qui che è il tuo figliolo?”

Mio padre, incalzato da quella furia vivente che di solito era una dolcissima moglie paziente, mi dette un nocchino che risuonò con una vibrazione musicale.

Scrive Alessandro, a proposito dei suoi racconti: “ Ho declinato in storie parole dei detti pisani che sono state qui gridate o sussurrate in questo gustoso e divertente dizionario (…) non ho scritto in vernacolo poiché non è la mia arte, ad ognuno la sua, ma ho trasportato queste espressioni vive e colorate anche per i non pisani, ibridando il linguaggio (come era d’altronde a casa mia) in narrazioni di fatti e sogni che facessero vibrare corpi e cuori di chi sa ascoltare il passato e il presente. Le vicende che ho raccontato, alcune un po’ immaginate e impepate, sono quasi vere e riguardano la mia persona e la Pisa che ho vissuto.

Suggestivo poi il ricordo di Daniele Luti, intitolato “Passeggiando tra i ricordi di Pisa” nella sezione “Pisa per me”:

Dentro, in uno spazio di pochi metri, sistemati nella forma geometrica di un rettangolo con vocazione trapezoidale, per lo sporgere e il rientrare di mattoni ribelli, stavano un tavolo riservato ai clienti stanziali, decine di scatole, casse e oggetti misteriosi destinati a convivere con mobili bellissimi, spodestati dalla loro primitiva funzione di classificatori di farmaci, e con angoliere dagli sportelli, a tratti dodecafonici, a tratti capaci di emettere suoni asmatici tipici di enfisemi tabagici avviati alla devastazione. In questo contesto, dietro un bancone sicuramente realizzato nell'alto medioevo, dominato da bottiglie di liquore antiche, alcune postbelliche (Kummel doppio Kummel Millefiori Vecchie Romagne vitreoscolpite con borchia vagamente caprocefalica), stava Leo che concepiva il cocktail come un qualcosa che sta tra il composto dell'alchimista e la pozione della Maga Circe. Beveraggi, i suoi, che ubriacavano fin dall'odore.

Divertente poi, il ricordo di scuola di Paolo Benvenuti che, esasperato dall’ enfasi logorroica di Maddalena una studentessa sua coetanea di cui era invaghito, che gli enumerava, a mo’ di guida turistica, le sue impressioni sulle opere d’arte fiorentine, esclama: “ Ma ti ‘eti un po po’! Si chetò all’istante. Poi, guardandomi con quei suoi occhi verdi sbarrati e preoccupati, mi fissò in silenzio (…) “Cos’è … che mi hai detto?”. La guardai con tenerezza: “E’ pisano stretto – risposi – significa: posso dire qualcosa anch’io?” Allora s’acquietò e mi sorrise.

Nella sezione “Un po’ di Pisa” troviamo un ricordo di Afo Sartori che così descrive il carattere dei pisani:

(…) D’altronde sono altresì affascinato dal “caratteraccio” dei miei concittadini, litigiosi, pelandroni (senza per questo rubare il mestiere ai livornesi: ci vuol altro!), individualisti, chiusi come una testuggine nelle proprie abitudini, ma capaci come pochi altri di ospitalità, generosità, tolleranza, come succede in “grandi città di piccole dimensioni” cui è toccata in sorte una storia singolare, vivere un ossimoro di provincialismo cosmopolita, solitudine e impero.

E ancora i disegni di Enrico Fornaini e l’immagine di un barbone fotografata prima e disegnata poi da Enrico Serraglini.

Ecco, è in base a questi esempi che, poche righe sopra, ho definito appunto “mosso” questo libro, perché ci si può trovare veramente di tutto, divertendosi e scoprendo delle “chicche” linguistiche esilaranti.

Concludo con queste poche righe che chiudono la mia prefazione:

Sei un pisano se ogni volta che senti un termine in vernacolo ti emozioni e sorridi e pensi all’infinita e fantasiosa ricchezza lessicale che offre questa particolare parlata che è lì, con te, come un’amante complice, accanto alla lingua ufficiale, pronta a venirti in soccorso, a custodire un segreto , a farti ricordare i tuoi nonni, le atmosfere di un tempo, il fuoco di un camino, lo scorrere lento di un tempo antico …

Pierantonio Pardi

Articoli dal Blog “Le pregiate penne” di Pierantonio Pardi