Francesco a Sarajevo: il bilancio
di Alfredo De Girolamo e Enrico Catassi - lunedì 08 giugno 2015 ore 08:15
Papa Francesco nei Balcani, in Bosnia ed Erzegovina, nella Gerusalemme dell'Europa per un viaggio veloce ma intenso, solcando un cielo vicino. Ad un anno dal viaggio in Terra Santa, dall'incontro con israeliani e palestinesi, nella terra delle tre grandi religioni monoteiste, per parlare di pace, tolleranza e dialogo interreligioso.
Sarajevo è apparsa bellissima a Francesco, sorridente mentre le colombe bianche sono state liberate in volo. E lui il Pontefice si è unito al coro di cristiani e musulmani: Mir Vama, la pace sia con voi in una Sarajevo multietnica, colorata e in festa ricostruita e ora al lavoro per riaffermarsi: "dopo il gelido inverno fiorisca la primavera", ha ripetuto Francesco. Il prezzo pagato da tutti merita un adeguato ritorno alla completa dignità, per tutte le genti che abitano queste terre.
Un viaggio importante quello di Bergoglio perché a pensarci con onestà intellettuale, l'Inferno di Sarajevo pare lontano nel tempo. Eppure sono passati solo venti anni dalla fine dell'ultimo conflitto che ha avuto luogo in Europa, in queste terre di confine, dove identità e diversità sono condizioni culturali e non geografiche. E la convivenza tra cristianesimo e islam è storia di un modello di coesistenza “armonico” spesso calpestato. In questo suolo, ora estremo oriente, ora cuore dell'Europa e ora al centro del nulla ha avuto luogo un esempio di inciviltà e assurda barbarie.
Cristiani contro musulmani. Cattolici contro ortodossi. Ebrei in fuga. La federazione slava implosa nel sangue. Nel nome della vendetta, della razza, dell'etnia e della religione venivano compiuti immani carneficine, vere e proprie mattanze. Anziani e bambini uccisi, donne stuprate. Il simbolo della drammatica guerra che spazzerà via dalle cartine geografiche la Jugoslavia è l'assedio di Sarajevo.
Quattro anni di terrore assoluto per i suoi cittadini e' il più lungo assedio della storia contemporanea. Si sono contati 12 mila morti. Decine di migliaia di feriti e invalidi di guerra, vittime ignorate per troppo tempo dal resto del mondo. Sarajevo ha rischiato di scomparire sotto i bombardamenti. Ostaggio dei cecchini e dei criminali di guerra. In quei tragici giorni il terrorismo dei singoli e degli stati, l'ideologia nazionalista e la post ideologia comunista, costruiva, tra le montagne e nella conca di questa capitale europea, il nido dell'integralismo moderno.
La fine era ad un passo, ma poi Sarajevo si è salvata, è tornata a vivere con la speranza di vedere, finalmente, un futuro cosmopolita. Al di là di ogni differenza, tutti in una sola cosa: "effettiva uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge". Nelle parole di Francesco il significato di questo viaggio apostolico: "godendo dei medesimi diritti - tutti - potranno attivamente dare il loro specifico contributo al bene comune."
Unità degli esseri umani, contro la divisione, per realizzare la pax universale nel segno della dottrina internazionale di Papa Francesco. Il Pontefice della mediazione, colui che vuole edificare i pilastri di un ponte duraturo tra Oriente e Occidente. Aggirando i protocolli diplomatici e sbalordendo l'opinione pubblica con gesti inusuali alla sua carica, Francesco avvicina le diversità. Evita il paradigma dell'incomunicabilità con la pratica comune a tutte le religioni, la preghiera. I segreti della strategia di Francesco sono la semplicità del messaggio, il dialogo paziente e fiducioso: "abbiamo bisogno di comunicare, di scoprire le ricchezze di ognuno, di valorizzare ciò che ci unisce".
Per sciogliere il nodo gordiano della contrapposizione, della diffidenza e dell'incomprensione eterna contro i "costruttori menzogneri di pace" coloro che fomentano "il clima di guerra" attuale. A loro Francesco contrappone gli artigiani di pace, il loro esempio: "non una giustizia declamata, teorizzata e pianificata ma praticata e vissuta". E' l'omelia nello stadio Olimpico di Kosevo, gremito sin dal mattino dai fedeli cattolici, una comunità dimezzata negli anni. Francesco impugna con forza il bastone pastorale, la ferula spezzata e avvolta nel nastro adesivo, metafora di un paese dove oltre alle colombe sventolano le bandiere nere dello Stato Islamico e dove la jihad trova terreno fertile per reclutare le sue milizie del terrore.
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Alfredo De Girolamo e Enrico Catassi