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lunedì 07 ottobre 2024

LA TOSCANA DELLA BIRRA — il Blog di Davide Cappannari

Davide Cappannari

Sono nato a Livorno nell’ormai lontano 1976. Naturalista nell’animo e system manager per destino, nella vita mi occupo di sistemi informatici e comunicazione (per ora). Ma la mia vera passione è un’altra: la birra artigianale. E ve ne parlerò in questo blog, se vorrete accompagnarmi nei miei viaggi brassicoli.

"Quali Birre" intervista a Fabrizio Di Rado

di Davide Cappannari - martedì 21 dicembre 2021 ore 19:00

Il 18 novembre scorso si è tenuta a San Casciano in Val di Pesa (FI), a Villa Montepaldi, la presentazione pubblica intermedia di “Quali Birre”: un progetto operativo Eip Agri, finanziato con il contributo della Regione Toscana e finalizzato al “Miglioramento della qualità delle birre agricole toscane nelle dinamiche di mercato e nelle strategie di diversificazione multifunzionale.”

Insieme ad Hops Tuscany, “Quali Birre” è uno dei due progetti pilota avviati dalla Regione, con lo scopo di stimolare la nascita di una filiera toscana brassicola toscana. Grazie alla collaborazione delle istituzioni regionali, dell’Università di Firenze e di 4 birrifici agricoli toscani che hanno aderito al bando, è stato possibile collezionare alcuni primi dati utili a consolidare, nel rigore della ricerca scientifica, alcune convinzioni frutto dell’esperienza diretta dei produttori, aprendo allo stesso tempo nuovi campi di indagine.

L’evento di Villa Montepaldi ha proposto ai partecipanti un primo approfondimento in merito alle opportunità di miglioramento della qualità microbiologica e della shelf life sensoriale delle birre artigianali toscane, evidenziando in modo puntuale le competenze tecniche ed economiche che gli operatori del settore debbono possedere per gestire con massima efficienza tali problematiche, cogliendo al massimo le opportunità di mercato che attualmente si presentano.

Lo scopo della presentazione pubblica intermedia era quello di verificare l’andamento del piano e valutare eventuali adattamenti sulla base delle criticità emerse. Qui trovate le info pubblicate sul sito ufficiale del progetto. Ma non vi parlerò in questo articolo di quanto è stato trattato all’evento, preferisco raccontarvi tutto quando saranno presentate le conclusioni finali del piano, presumibilmente entro il 2022. Quello che voglio fare oggi è raccontarvi il Progetto “Quali Birre” attraverso le parole di Fabrizio Di Rado, imprenditore agricolo e mastro birraio dell’Opificio Birrario di Lorenzana (PI).

Quali sono le caratteristiche dei birrifici che hanno partecipato al progetto e perché l’Opificio Birrario è stato scelto come azienda capofila?

I partecipanti sono quattro birrifici agricoli toscani: Corzano, La Diana, La Stecciaia e l’Opificio birrario. Gli ultimi due sono birrifici certificati bio. L’Opificio Birrario è stato scelto come azienda capofila probabilmente perché è l’unico birrificio che opera direttamente anche la maltazione del cereale, come fotografia forse inquadrava più la realtà da prendere come riferimento. Ma alla fine il capofila non è altro che una figura formale, poiché anche le altre realtà hanno partecipato in maniera determinante, anzi c’è stata grande collaborazione tra di noi: quando è stato necessario prendere delle decisioni questo avveniva sempre in maniera condivisa.

La Regione Toscana, ad oggi, oltre a finanziare il progetto come è intervenuta nell’ambito di Quali Birre?

La Regione ha organizzato un intervento pubblico in occasione del Festival della Versiliana di Marina di Pietrasanta, nel quale ha presentato gli unici due progetti toscani finanziati con soldi pubblici (ndr: Hops Tuscany e Quali Birre). Per adesso questo, ma siamo ancora in una fase intermedia del progetto. Immagino che nel percorso di avvicinamento alla fase finale di redazione del piano gli interventi di promozione da parte del pubblico aumenteranno. Si auspica che alla presentazione dei risultati ci sarà anche una rappresentanza importante della Regione, perché comunque il nostro è un settore che merita di essere attenzionato e sostenuto, e da tanti punti di vista abbastanza “vergine”, ma che può dare in futuro dei risultati importanti. Anche per le microimprese che possono nascere intorno alle nostre attività.

Sostenere il nostro settore è anche il modo giusto per far capire ai giovani che la birra è un prodotto agricolo e lavorare in un’azienda agricola e abitare in campagna può essere un’opportunità per il futuro. Qui ci sono delle bellissime colline, alle persone a volte dico: invece di scendere in pianura verso le città sarebbe il caso che qualcuno si rendesse conto di quello che lascia e della ricchezza dei luoghi in cui viviamo.

Mi racconti quale aspetto del progetto ritieni più interessante e perché?

Nella prima parte del progetto è stata analizzata l’attuale composizione delle birra agricole dei quattro birrifici coinvolti. L’approccio è stato scientifico. L'obiettivo era quello di disegnare un quadro esatto di questi birrifici: verificarne lo stato dal punto di vista delle caratteristiche degli ambienti, dei lieviti selvaggi presenti nei locali dove si opera la trasformazione e la conservazione del prodotto finito. Sono stati raccolti dati tramite tamponi e campionamenti su tutte le attrezzature con cui viene a contatto la materia prima. Inoltre sono state fatte analisi in tutti i passaggi della lavorazione: dall’ammostamento, ai trasferimenti intermedi, prima della bollitura, nel passaggio in fermentatore e durante l’imbottigliamento. Un tracciamento puntuale di tutte le fasi produttive per capire dove intervenire per migliorare il processo. Solitamente si fanno analisi su prodotti finiti: prendi la tua birra, la mandi ad un laboratorio che analizza la stabilità del prodotto, verificando se ci sono contaminazioni. Però è un risultato fine a se stesso. Se c’è un problema non è facile capire l’origine.

L’approccio di analisi attuato nel progetto Quali Birre, invece, ti consente, con una buona percentuale di probabilità, di individuare la fase produttiva che ha generato il problema. Questo nuovo approccio di analisi, secondo me, dovrebbe essere implementato nei birrifici. Io probabilmente lo farò nel mio.

Quali Birre è il primo progetto di questo tipo in Toscana o in passato ce ne sono stati altri? È stato all’altezza delle tue aspettative?

Credo che in Toscana non ci siano stati altri progetti legati al mondo brassicolo con tali caratteristiche. Quali Birre è un progetto, a mio avviso, ben fatto.

La qualità risiede soprattutto nella professionalità delle persone che ci hanno lavorato. FoodMicroteam ad esempio ha avuto un approccio, per me, sorprendente. Molto accurato e rigoroso; e anche l’analisi sensoriale operata dai laboratori si è tradotta in una gran bella esperienza: grazie ad un panel costituito da una platea molto ampia è stato possibile raccogliere dei risultati preziosi sull’indice di gradimento che possono avere i nostri prodotti sul mercato.

Grazie ai dati già raccolti si può fare qualche tipo di valutazione per migliorare il processo produttivo dei birrifici coinvolti nel progetto?

I dati raccolti sono tanti, ma ancora parziali. Le birre allo studio sono quattro e ad oggi ne sono state analizzate solamente tre. Ma dal punto di vista analitico le informazioni in nostro possesso ci consentono già una buona lettura di quanto avviene ad esempio durante la fermentazione delle nostre birre. Per esempio, sappiamo qual è la ripartizione degli zuccheri nei nostri mosti, quali sono gli zuccheri che fermentano per primi, quali devono invece essere scomposti e quali rimangono nel corpo delle nostre birre. Per esempio ho scoperto dai dati che un lievito che utilizzo per le mie produzioni non scompone il maltotriosio, un trisaccaride che rimane tale e quale nella birra finita.

Quando credi saranno presentate le conclusioni finali del progetto Quali Birre e dove potremo leggerli?

C’è un cronoprogramma, ma alcuni appuntamenti li stiamo valutando adesso: come le visite a due birrifici stranieri, uno tedesco e uno belga. Erano previste per l’inizio del 2022 ma probabilmente rimanderemo il tutto a causa del Covid. Poi ci sono da fare alcune ore di formazione con il CERB (ndr: Centro di Ricerca sulla Birra di Perugia). In ogni caso credo che le conclusioni finali saranno presentate entro la fine del prossimo anno. I risultati del progetto saranno comunque resi pubblici attraverso il sito web qualibirre.it, già adesso sono tracciati i vari passaggi effettuati, e altre informazioni saranno probabilmente disponibili attraverso i canali della Regione e dell'Università di Firenze.

Nella legge regionale che dovrebbe nascere in Toscana per regolamentare il settore brassicolo, probabilmente sarà dato uno spazio adeguato all’aspetto dell’accoglienza turistica. Si è parlato anche di questo nel progetto Quali Birre?.

Il turismo brassicolo, come tema, entra marginalmente nel progetto, ma in qualche modo ha un valore fondamentale perché è l’anello finale della nostra attività di produttori agricoli. Silvio Menghini (ndr: Professore Ordinario UNIFI presso la Facoltà di Scienze e Tecnologie Agrarie, Alimentari, Ambientali e Forestali) ha detto una cosa che mi è rimasta impressa: quando cerchiamo di offrire un prodotto agricolo che viene dalla nostra azienda e che curiamo dal campo fino alla tavola, il cambiamento di pensiero che dovremmo operare e quello di considerare chi viene in azienda non come un cliente, ma come un ospite. Questo vuol dire che dobbiamo offrire la miglior accoglienza possibile, spiegare nel dettaglio cosa si sta bevendo o mangiando, qual è il campo dove viene coltivata la materia prima e in quale modo, presentare al visitatore la persona che ha operato la trasformazione del prodotto in alimento. Sono degli aspetti che tutte le persone iniziano a cercare ed è anche un orgoglio poter raccontare il valore del nostro lavoro agricolo.

Quali sono le tue considerazioni alla fine di questa intervista?

Quali Birre è un progetto che potrà dare ottime indicazioni alle aziende agricole che vogliono perfezionare il proprio processo di produzione in ambito brassicolo. Non dimentichiamo che birra agricola significa azienda agricola, il che vuol dire: produzione di luppolo, orzo, in alcuni casi significa anche trasformarlo in malto; tutti passaggi necessari a chiudere la filiera produttiva. Alla fine di questo percorso il primo obiettivo sarà quello di utilizzare le nuove competenze acquisite per assorbire tutte le criticità. Dal campo alla bottiglia ci sono problematiche che a volte sembrano insormontabili per noi (ndr: inteso come paese Italia) che siamo alle prime armi sulla birra. A volte sembra quasi un miracolo riuscire a trasformare in birra dei prodotti agricoli che vengono da una filiera locale, nel nostro caso certificata bio, e questo perché purtroppo non abbiamo la tradizione.

Progetti come Quali Birre dovrebbero nascere più frequentemente in Toscana, sarebbero validi strumenti per cercare di colmare il gap che abbiamo con gli altri paesi produttori. Abbiamo l’ambizione di produrre birra artigianale, esportarla, offrirla a chi viene a visitare l’Italia e la Toscana. Questa ambizione di mettere un bicchiere sul tavolo ce l’abbiamo, ma a mio avviso adesso dobbiamo fare di più: dobbiamo riuscire a costruire una filiera toscana di orzo, malto e luppolo.

Davide Cappannari

Articoli dal Blog “La Toscana della birra” di Davide Cappannari