Le parole scomparse
di Roberto Cerri - sabato 07 febbraio 2015 ore 11:55
Se i libri hanno una vita lunga e vivace (e talvolta possono persino resuscitare, grazie alle ristampe), ci sono altri testi che spesso scompaiono e le parole che contengono quasi muoiono. Svaniscono. Sono i documenti degli archivi. Un mondo sconosciuto. Frequentato da pochissimi. Eruditi locali, avvocati che difendono interessi legittimi, rari studiosi blasonati, pensionati appassionati di carte sbiadite. Al loro fianco, un numero sempre più ristretto di studenti universitari. Specializzandi e dottorandi. A questi pochi, vanno aggiunti un po’ di funzionari pubblici. E poi un manipolo di insegnanti motivati e desiderosi di far comprendere ai loro ragazzi come si ricostruisce un frammento di storia e l’importanza della documentazione per capire cosa è davvero successo nel passato.
Ma se un italiano su due legge un libro in un anno e solo uno su 15 mette piede in un biblioteca (sempre in un anno), probabilmente solo uno su 1000 entra in un qualsiasi tipo di archivio. E, forse, solo uno su 2/3000 si è misurato, durante la vita, con una ricerca d’archivio. Ora se la frequentazione delle biblioteche e quella dell’archivi desse luogo a due correnti di sensibilità nella nostra opinione pubblica, la sensibilità per gli archivi non potrebbe che essere (come in effetti è) impercettibile, dato che coinvolge pochissime persone. Se va bene appena 50/60.000 in tutto il paese. Un’inezia.
Ora se l'indice di sensibilità pubblica determina anche lo stato di salute di un servizio, è ovvio che la maggior parte degli archivi pubblici italiani si trovi in condizione precarie, sia per il personale che per le strutture. Più frastagliata la situazione degli archivi ecclesiastici (che contengono documenti preziosissimi), quelli delle famiglie storiche, delle imprese e delle tante associazioni e istituzioni del Paese.
Eppure in alcuni di questi archivi sono conservati documenti eccezionali. Indispensabili per capire la storia italiana, quella europea e in alcuni casi perfino mondiale. Ma per l’opinione pubblica, per 999 italiani su 1000, gli archivi restano invisibili. E i documenti che contengono quasi morti. Insomma non interessano a nessuno. TV e giornali non ne parlano mai. Del resto gli archivi non possono neppure essere trasformati in musei. Non possiedono fascino estetico. Le parole contenute nei documenti sono scritte a mano, con sistemi di abbreviazioni indecifrabili per chi non sia addetto ai lavori. E se un libro è difficile da penetrare, un documento d’archivio spesso è un enigma, che solo pochi “iniziati” e appassionati sanno rintracciare e decifrare.
Per questo molti archivi chiudono le porte nel silenzio generale e alla fine una parte delle loro carte scompare.
Si può fare qualcosa per arrestare il declino degli archivi? Non è facile. Anche se, ad esempio, Stato, Regioni e Comuni, insieme, potrebbero investire in nuove moderne infrastrutture che superino l’attuale frastagliato assetto conservativo (fatto di tanti caotici depositi) e diano vita ad un piccolo numero di efficaci centri archivistici. Una decina basterebbero per ciascuna regione. Forse anche meno, come nel caso che proverò a descrivere di seguito.
Alla fine dell’EXPO si potrebbe riutilizzare una parte dei grandi capannoni espositivi per collocarci le carte di tutti gli archivi di stato della Regione Lombardia (o almeno quelli di Milano), della stessa Regione, delle moribonde province, delle moribonde camere di commercio, delle Asl e di tutti i comuni che siano disposti a convogliare le loro carte lì. Bravo, mi si dirà, così se poi uno vuole consultare un documento dovrà per forza recarsi da tutta la Lombardia nell’area EXPO. Pirla, risponderò. Ci andrà solo chi vorrà consultare l'originale cartaceo. Altrimenti un moderno archivio pubblico sarà pure in grado di accogliere le domande di ricerca via internet, digitalizzare i documenti richiesti e spedirli in pochi secondi, sempre via internet, a tutte le scrivanie degli uffici e perfino sui tablet e gli smartphone dei cittadini, ovunque essi si trovino.
Detto tra noi spero che l’idea piaccia almeno a Salvini e che sognatore com'è il Matteo lombardo proponga di spostare negli ex padiglioni Expo tutti gli archivi del Nord. L'ex area Expo potrebbe così diventare un bell’esempio di servizio archivistico moderno.
Ma un progetto del genere non potrebbe essere clonato anche in altre regioni? Non sarebbe un buon modo per ammodernare e razionalizzare la pubblica amministrazione e tenere in vita carte e parole ancora utili per gli italiani?
Roberto Cerri