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martedì 19 marzo 2024

RACCOLTE & PAESAGGI — il Blog di Marco Celati

Marco Celati

MARCO CELATI vive e lavora in Valdera. Ama scrivere e dipingere e si definisce così: “Non sono un poeta, ma solo uno che scrive poesie. Non sono nemmeno uno scrittore, ma solo uno che scrive”.

Il sabato del Favati

di Marco Celati - sabato 04 marzo 2017 ore 13:34

Il commissario Favati, al secolo Nedo, se ne stava sul terrazzo di casa. Il vento, fattosi più clemente, consentiva al sole di scaldare l'algido mattino invernale.

Sabato, fine settimana, riposo. "Questo di sette è il più gradito giorno" . Resto qui, seduto, a guardare gli ulivi e la collina: meglio dei palazzi che vedo ogni giorno dall'ufficio. Portasfiga, il gatto, dorme acciambellato sul plaid steso sulle ginocchia: due bestie sole. Meglio il gatto, ancorché "sterilized", un modo elegante ed anglofono per dire castrato. I gatti, in fondo, sono solitari di natura, gli uomini non dovrebbero. Bisognava rientrare, cucinarsi qualcosa. Traccheggiava, non ne aveva voglia, mai piaciuta l'incombenza della preparazione del cibo. Il cibo è un pasto: ci si nutre, ci si disseta e basta. Magari un vinello buono, purché a buon mercato, aveva preso ad apprezzarlo. Un amico cattolico, ma sufficientemente gaudente -i cattolici poi si confessano- lo aveva iniziato al piacere dionisiaco con le sue serate enogastronomiche a tema. Quelle cene dove ti spiegano cosa mangi, cosa bevi e perché lo fai.

Prendeva appunti sul cellulare. Registrava stati d'animo, momenti provvisori: niente che faccia un tutto. Gli sarebbe piaciuto scrivere, ma a scrivere si perdono i contatti con la realtà e lui non se lo poteva permettere, col mestiere che faceva. E poi "carmina non dant panem" , lo sanno tutti. Ascoltava Mannarino, in cuffia. Canzoni che parlano male del sistema e dei poliziotti bastardi. Fanculo! Gliel'aveva segnalato suo figlio Lucandrea. Tutti i commissari o gli ispettori di polizia, in genere, hanno figli di sinistra. Deve essere un giusto contrappeso dell'esistenza. Comunque il ritmo gli piaceva. Anche le parole di qualche canzone. "Gli Animali": Il segreto dei pesci per non farsi acchiappare è distinguere le stelle dalle lampare. "Arca di Noè": questa è una storia da raccontare, bisogna andare a camminare sulla terrazza con vista mondo, dove ogni alba è anche un tramonto, ma se sei con me c'è solo pioggia estiva, il mondo è un’Arca di Noè che va perduta alla deriva.

Bè, in fondo era vero, specie la confusione tra albe e tramonti, di questi tempi. Per non parlare poi della deriva del mondo. Diavolo di un Mannarino! E, quanto agli animali, come i popoli dell'antichità, anche le religioni orientali assegnano a persone e bestie pari dignità: tutti sono portatori di saggezza e dotati di un'anima. Per questo molte divinità sono zoomorfe. Lui, del resto, venerava Portasfiga, il suo gatto nero. La Pubblica Assistenza di Pontedera ha dedicato il calendario del 2017 a Mohammad Alaa Aljaleel che con l'ambulanza soccorre i propri simili, ma si prende cura anche dei gatti, altri esseri viventi abbandonati, nella città martoriata di Aleppo, in Siria.

Ricordava una poesia in dialetto romanesco. Metasemantica, alla Fosco Maraini, quello del "Lonfo", interpretato da Gigi Proietti alla tivvù. Un collega, romano de Roma, gliel'aveva recitata in Questura e se l'era fatta scrivere. 

S'intitola "Ergatto", tutto attaccato, autore ignoto e fa così.

Ergatto è 'na bestiola servaggesca,

te zuffa, te sgraffiazza, arubba e soffia,

si è nero è sfigarda e anche streghesca,

te 'nciampa, t'ariguarda e te se loffia.


Se spela, t'araffa e te s'accolla,

sbigia la vita dalla finestra fori,

smiaga pietanze, croccanti e roba molla.

M'avete castrato? E ora son dolori.


Gnagola, rufianesco e bonaccione,

t'aronfa sulle ginocchia, sullo scialle,

s'appiccica alla casa e no ar padrone,

come se desta, se leva dalle palle.


Adunghia, arovescia e butta giù,

s'arimpiatta e t'aspia dietro ar sofà,

poi s'astruscia, aliscia er pelo e fa frufrù,

ergatto de casa tua: che gliè vo' fà?


Aveva steso il bucato: pochi panni, qualche camicia, un po' di biancheria, dopo due ore e mezzo di quella lavatrice sgangherata. Sole e vento, quasi già asciutto. Era ora di ritirarlo e rientrare davvero. Ma Portasfiga protesta, mordicchia le mani, vorrebbe restare, reclama la sua dose giornaliera di attenzioni. Non rompere, gattaccio della malora. Due carezze risarcitorie, ricambiate dalle fusa. S'incurva, rizza la coda mozza, perduta per la reazione di una puntura di antibiotico, dopo la sterilizzazione. C'erano voluti due mesi perché almeno metà guarisse. L'altra era stata tagliata. Povero Portasfiga! Se la porta anche per sé, anzi sopratutto. In fondo, a me, da quando mio figlio me l'ha regalato, questo gatto, a parte un incidente d'auto, due volte la macchina dal meccanico, una tendinite al braccio, la ripresa della lombosciatalgia e la prostata flambé, con un considerevole ritorno di fiamma, non era capitato poi granché. Forse da qui in avanti meglio se lo chiamo "Mezzacoda". Più simpatico e propiziatorio, fa anche più vissuto. Basta, micio, è venuto freddo, rientriamo in casa.

Ora di pranzo, un po' inoltrata. Tortellini alla bolognese, tempo di cottura un minuto. Si aggiunge burro e sugo di pomodoro già pronto. Si manteca -si dice così?- nella pentola, ma l'acqua di cottura si butta, si fa prima, in culo a tutte le trasmissioni culinarie che imperversano in tivvù. Et voilá, il pranzo è servito. Inevitabile e gradita la scarpetta nel sugo rimasto, con una fetta di pane: bianco o integrale, di semola. Magari con lievito madre e non di birra, così si mantiene fresco una settimana, si risparmia e ci si rompe meno le palle, evitando la spesa giornaliera. Un bicchierozzo di rosso, questo sì: Teroldego Rotaliano, buono il prezzo, migliore il vino. Tredici gradi e mezzo: la testa un po' leggera. Un tocchetto di parmigiano, non importa invecchiato quanto; e se è reggiano fa lo stesso. E che sarà?! Anche il grana del Trentino non è male. Frutta: una clementina, anzi due, perché non hanno semi. Fine. Cucina sobria e sbrigativa. Nessuna descrizione letteraria di ricette. Molti scrittori, anche bravi, lo fanno: allungano il brodo, in tutti i sensi. Sarà quello di cottura? Il più è apparecchiare, sparecchiare e rigovernare. Poi la vita riprende come prima.

Vibra il cellulare: un messaggio del figlio. Come va? Resisto, te? Bene, piaciuto Mannarino? Un po' troppo estremista per i miei gusti, ma buona musica. Te lo dicevo, che fai? Ho fatto il bucato. Tutta vita, meglio quando giochi a guardia e ladri. Spiritoso. Ho preso da te. No, da tua madre, come sta Serena? Serena chi? Come chi, la tua ragazza! Silvia, babbo, si chiama Silvia. Mi avevi detto Serena. No, ti avevo detto che il secondo nome è Serena. Vedi allora: Silvia, Serena, mi ricordavo e poi cominciano per esse tutte e due, lo sai che non ho una memoria selettiva. Che testa, ma come fai a fare il mestiere che fai? Non lo so, figliolo, mai saputo. Babbo, non è la memoria, è l'età: quanto manca alla pensione? Poco, manca poco. Vabbè, Silvia ti saluta . Ciao, salutamela. Ciao, babbo, stai bene. Meglio che posso. Allegria, ciao. Ciao.

Lucandrea, l'avevano chiamato così perché erano incerti tra i due nomi. Per smettere di litigare avevano optato per la crasi. Il bello è che non ricordava più chi era per Luca e chi per Andrea, ma che importanza aveva ormai? Dalla crasi alla crisi: avevano smesso di litigare, dopo il divorzio.

Era stata una settimana impegnativa. Tre furti in appartamento, l'allarme sicurezza della popolazione insicura: troppi extracomunitari. Però, per almeno uno erano stati identificati due noti e recidivi connazionali. Le tubazioni di rame divelte e rubate dal cimitero comunale: nemmeno i morti hanno pace. Il rame in tempi di crisi vale più dell'oro. Anche il Centro di Raccolta dei rifiuti saccheggiato. Una batteria di cassonetti dati alle fiamme dal solito piromane paranoico, appena uscito dalla custodia cautelare e subito, intanto, riaffidato ai servizi sanitari.

E poi l'episodio più drammatico, venerdì pomeriggio. Il senegalese salito sul tetto con il figlio piccolo in braccio, che minacciava di buttarsi di sotto dal quarto piano del casamento. Aveva lo sfratto esecutivo da oltre un anno, era senza lavoro, l'officina aveva chiuso da tempo. Chiedeva una casa popolare, voleva parlare col Sindaco. Molta gente si era radunata in strada, sotto il palazzo. Una donna, la moglie probabilmente, affacciata al terrazzo piangeva e parlava in wolof. Si capivano solo i nomi, ripetuti tra i singhiozzi: Ibra, Check!

L'avevano chiamato al Commissariato, era andato di persona. Aveva fatto avvisare Dia Papa, il responsabile di "Senegal Solidarietà" e Ali, il pugile italo senegalese, conosciuto e rispettato dalla comunità. Tutti e tre, più l'ispettore Calogero, erano saliti sul tetto e cercavano di parlare con Check.

Lascia andare intanto Ibra, lo portiamo dalla mamma e poi chiamiamo il Sindaco. Ok, Ibra scende, il Sindaco? Il Sindaco è qui. In realtà era il capitano Mannucci, comandante della Polizia Municipale, che, arrivato e toltosi la divisa, nell'emergenza si era improvvisato primo cittadino.

Check, scendi anche te, parliamo. Voglio casa e lavoro. Va bene, vediamo cosa si può fare. No vediamo: casa e lavoro, come vivere, come mangiare?! Check, non ce n'è più nemmeno per noi! Mi butto sotto. No, va bene, va bene, vieni giù.

Era durata più di un'ora, poi erano riusciti a convincerlo a scendere dal tetto. Piovigginava, si era fatto freddo e scuro, le tegole erano diventate scivolose. L'avevano portato in Questura per l'identificazione, era risultato "regolare". E poi condotto in Comune. Il vero Sindaco, avvertito, era rientrato da Firenze: una riunione in Regione sulla vertenza Piaggio. L'aveva ricevuto con moglie e figlio, insieme ai rappresentanti della comunità e ai servizi sociali: almeno l'emergenza casa si poteva risolvere, ma non poteva essere quello né il sistema, né l'esempio. Chissà poi come era andata a finire. Favati ricordava ancora la disperazione dell'uomo, la paura del piccolo, il pianto della donna e la miseria della casa.

«Che storia, commissa'» gli fece il fido Calogero «è andata bene, graziaddio!»

«Bene chissà, Calo'. Ma tanto noi poliziotti, siamo gente di destra e senza cuore, lo dicono tutti: Mannarino, e forse perfino mio figlio!»

«Mannarino chi? Parli per sé, commissa' ! E suo figlio non credo proprio.»

«Scusa, Calogero, fai un buon fine settimana.»

«Grazie, Nedo, anche te.»

Marco Celati

Treggiaia, 22 Gennaio 2017

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Alessandro Mannarino, cantautore. "Gli Animali", dall'album "Al monte" e "Arca di Noé", dall'album "Apriti cielo". E, diomiperdoni, Giacomo Leopardi, poeta, "Il Sabato del villaggio", da "I Canti".

Marco Celati

Articoli dal Blog “Raccolte & Paesaggi” di Marco Celati