Leggendo l'Eneide
di Nicola Belcari - giovedì 15 agosto 2024 ore 08:30
Epica desolazione
(libri I, II, III)
Gli dèi tutelari ci hanno abbandonato? È il volere del fato questo luridume? Questa sofferenza ingloriosa? Questa fatica senza premio? Siamo la vergogna degli antenati che seppero vivere da donne e da uomini semplici e puri?
Oggi pochi naufraghi (rari nantes) scampano alle melmose acque, alla palude di liquame: io e te (lettore) tra questi?
Nel bosco sacro della Natura violata l’arte narra la nostra sventura in cui le lacrime delle cose (lacrimae rerum) si confondono con le nostre in un nodo inestricabile.
C’è il silenzio dell’ascolto, riverente e ammirato, c’è il silenzio dell’assenza e dell’indifferenza sordo al dolore altrui che la memoria rinnova.
Domina la malizia colpevole. L’inganno fa uso delle parole al contrario: la verità è il loro rovescio. Il potere offre doni avvelenati (timeo danaos et dona ferentes), punisce il giusto e innalza lo stolto, incoraggia il farabutto.
Oltre la tragedia sociale, la tragedia personale. Un giorno il coniuge dirà addio all’altro affidando il pensiero di sé al comune amore per il figlio (serva communis amorem) e diverrà un’ombra che sfugge all’abbraccio.
Fiaccati dalla stanchezza non c’è lido che ci accolga, terra o deserto. Senza il cattivo influsso di Sirio ci procuriamo pestilenze, carestie, guerre: catastrofi umane. Tutto per il denaro. Cupidigia maledetta! (auri sacra fames) a cosa costringi l’animo umano.
Così trascorre la nostra vita infelice. E infine rassegnati ai mali sovrastanti, nel nostro ultimo tempo, nonostante un dolore sottile, che sia almeno la pace del cuore.
Colpa o Fato?
(libro IV)
Noi sappiamo che Enea non si è inventato una scusa: davvero Mercurio gli è apparso, per comando di Giove, con l’ordine di partire (e dunque abbandonare Didone). Non sappiamo se avesse in animo di tradire comunque l’amante. Egli si è trovato in una situazione senza uscita, un’uscita onorevole (o questa è la sua colpa). O tradire la regina fenicia o tradire il proprio destino, il futuro di gloria che gli è riservato. È questo uno tra i tanti casi in cui per un protagonista si pone il dilemma: colpa o fato? Quello di Elena, causa della guerra di Troia, è tra i più clamorosi e dibattuti.
La grandezza della visione del mondo dei Greci non sta in questo oscillare tra libertà e responsabilità personale da una parte e fatalità dall’altra? Nessuna delle due può valere in assoluto senza il rischio di rendere l’uomo una marionetta o, al contrario, un padrone totale delle proprie azioni come si è tentato di credere in un arido passato prossimo, non più presente. Sembra quasi che quelle divinità che muovono e impongono le passioni siano state scoperte assai dopo in un tempo recente dando il nome d’inconscio al loro regno, suscitatore di atti irrazionali, istintivi o inconsulti. In un gesto o un’azione confluiscono un coacervo di sentimenti, l’uno o l’altro prevalgono a momenti. Nel suicidio di Didone c’è una punizione autoinflitta, c’è il ricordo del marito Sicheo, l’orgoglio umiliato, l’ira incontenibile, l’incapacità di vedere un futuro per sé.
Poi, nei secoli, filosofi, teologi, scienziati si sarebbero affaticati sul concetto di libero arbitrio, dalla libertà delle scelte fino a un “positivismo” condizionato dalla materia, dalle circostanze, dall’ambiente. Da una personalità guidata dall’anima a un’insalata di molecole, una miscela chimica, una mistura di combinazioni decisiva che forma il reprobo, l’assassino, il ladro (una teoria comoda per i cattivi benestanti che non hanno l’attenuante della miseria, di un ambiente degradato, d’un’emarginazione senza possibilità di riscatto).
L’eroe antico asseconda il suo destino come un pesce nuota col favore della corrente, compie se stesso, realizza il suo essere, aderisce alla propria natura.
Nicola Belcari